
Giugno ha visto protagonista della rubrica dedicata alla Poesia, Armando Saveriano che conosciamo meglio attraverso questa intervista
Ho iniziato a comporre sotto la spinta organica e potente della Beat Generation e condizionato da un bisogno quasi fisiologico di mettermi alla prova utilizzando versi e non soltanto prosa.
I poeti del mitomodernismo, da Giuseppe Conte a Tomaso Kemeny. Considero manifesto e produzione delle forzature, con un che di artificioso (in ogni caso lontani, l’uno e l’altra, dalla mia poetica e dal mio gusto, orientati invece verso le sacre boe del realismo magico, del surrealismo di Breton e Desnos e del neobarocco, con puntatine episodiche – secondo la mia concezione ‘versipelle’ dell’estro creativo – alle sponde anomale del movimento dada). Anche perché, tornando al mitomodernismo, certa politica di partito ha inteso malintenderne e strumentalizzarne i temi e le finalità.
Diffusione esondante, fino all’irritazione, attraverso reading e convegni arrangiaticci, sulla scorta di un divismo poetico assai imbarazzante, incoraggiato da certa editoria per piccole-lucrose esigenze di mercato. Un fenomeno che ha nociuto e nuòce, anziché favorire l’arte della Musa, che definisco ‘l’allodola immortale’. Dal canto suo, la critica non seleziona il grano dal loglio, è generalmente acquiescente, in virtù del quieto vivere e spesso a cagione di motivi volgarmente alimentari. Non c’è, da parte dei poeti cosiddetti ‘affermati’, e da parte dell’acerba new wave, un chiaro sovvertimento di vecchi canoni e la fondazione di uno nuovo. A parte, se posso far nomi, Eleonora Rimolo e Davide Cuorvo, che, anche per il rispettivo riserbo, e per il silenzioso, costante e coerente engagement, mi fanno pensare a una Emily Dickinson e ad un Tristan Corbière di oggi.
Lo trovo un canale rapido, economico, efficace, quando gestito cum grano salis. Permette agli autori misconosciuti, lontani dai focaroni e dalle grancasse dell’egolatria, di avere visibilità e vantaggiosi contatti. I Gruppi da me fondati, POIENAUTI e I CIELI DELL’ALTROVE, sono vivaio di buona e onesta poesia culturale, costituiscono quindi un esempio, che chiunque può valutare, e sulla cui scia incamminarsi.
Poesia e movimenti culturali in Italia, quali meritevoli di menzione?
Movimenti culturali tesi a una critica dei canoni ancora vigenti e alla fondazione di nuovi si possono rilevare attraverso la copiosa produzione di riviste specialistiche, che si rinnovano non appena una di esse chiude i battenti per ragioni di mancato sostegno monetario. Fortunatamente resiste l’organo ufficiale fondato da Crocetti, POESIA. Le Università ospitano stages e talvolta si dimostrano disponibili a programmi creativi, come pure i P.O.N. orientati nello specifico verso le poetiche e gli autori del Novecento e di inizio Terzo Millennio, nelle scuole superiori, anche tecnico-scientifiche. Parecchio fanno le associazioni, ma occorrerebbe procedere ad un censimento di qualità e di effettiva finalità nella pianificazione dei propositi. Attualmente c’è la linea lombarda con Giampiero Neri, socio onorario della mia Associazione, Logopea. Al sud una vitalissima espansione di poetiche legate alla Mediterraneità, fuor delle enfasi e dei pregiudizi tradizionali.
Genere dotato di libertà d’esplorazione estrema del sé e dell’altro da sé, del sociale e del politico, si spinge a fornire ipotesi sulla verità mai considerata come valore assoluto. Una sorta di ‘veggenza’ rimbaudiana, che si riconferma in Blok, Transtromer, Walcott, Kazantzakis, Nanni Balestrini, Franco Buffoni, Gabriella Sica, Lello Voce, Wanda Marasco. Potente mezzo di trasformazione e trasfigurazione linguistica, è la migliore palestra di evoluzione e cambiamento. Una volta c’era la figura del poeta demiurgo, oggi messa in (parziale) discussione.
Studio analitico delle poetiche, affinamento del senso critico e letture ragionate e variatissime. Non c’è altro iter. Vietato invaghirsi delle proprie cose, attenzione a non salire sulla giostra della mondanità, del presenzialismo selvaggio, dell’identificazione in un modello divistico plateale e patetico. Lasciar ‘fermentare’ i propri scritti, maturarli, riconsiderarli a freddo per un ottimale metabolismo delle proprie potenzialità e onestà di giudizio su altrettanti limiti.
Una domanda che mi coglie impreparato e mi imbarazza. So di non poter rispondere, se non con l’indicazione di un periodo di crescita e di produzione che, complessivamente, è quello di oggi, l’attuale; sintetizza un quarantennio di sperimentazioni, delusioni e conquiste. Forse oggi potrei esser ritenuto alfiere d’un differente modo di comporre, magari lo scopritore di un filone, un apripista. Questo lo debbono semmai diagnosticare i critici. Certo mi sento distante dai tanti che cavalcano onde stantie e stenterelle. Non esiste un unico testo altrui al quale io sia decisamente affezionato: potrei dire “Rue de Seine” di Prévert o “La Sposa Infedele” di Lorca, “Un passo d’addio” di Cristina Campo, o “I fiori vengono in dono e poi si dilatano” di Amelia Rosselli, da DOCUMENTO; oppure ancora “Russia, mammina cieca” di Alexandra Petrova, “Tombeau d’Antonio Machado” di Jean Cassou. Ma sono tanti, troppi
La poetica che non ha una realtà essenzialmente logica: per me è stato sempre così. Ma deve avere una virtus estetica definita o definibile, feconda e faconda, duttile, flessibile.
La ripresa di antiche attività interrotte a causa della mia situazione di salute assai compromessa: corsi di scrittura, incontro con autori, teatro-poesia, mise en espace. Avevo due funzionali rassegne: “LIBRAZIONI” e “IL VERSIPELLE”. All’attivo la bellezza di sette raccolte inedite, che non so come pubblicare, considerate le condizioni poste in genere dagli editori e la mia precaria disponibilità economica. Ma non dispero di darne alle stampe almeno un paio. Vedremo. Spes ultima dea.
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