
Il 16 Giugno, si terrà la prima edizione del Freelance Camp al Teatro Quirinetta di Roma. Alessandra Farabegoli risponde a qualche curiosità sulla nascita dell’evento e sul suo arrivo nella capitale
a cura di Francesca Ferrara @netnewsmaker © RIPRODUZIONE RISERVATA
Un barcamp dedicato ai freelance che nasce a seguito di quale esigenza, bisogno, richiesta?



A fine barcamp cosa accade? Cosa si porta ‘a casa’? Cosa si è portato negli anni passati?

A ogni edizione gli interventi si distribuiscono fra racconti di esperienze, consigli su come organizzarsi, gestire il tempo, fare preventivi e contratti, farsi pagare 🙂
Il 16 Giugno ci sarà la prima edizione romana del barcamp, come mai nella Capitale?

Benché la maggior parte dei barcampisti a Marina Romea venga dall’Italia centro-settentrionale, abbiamo sempre avuto un piccolo drappello di partecipanti dalla capitale, compresa la preziosissima troupe di Vudio che da alcuni anni ci garantisce riprese e streaming. Ci rendiamo conto che la realtà romana è per molti versi ancora più difficile, con tanti freelance che però risultano quasi invisibili, schiacciati da un contesto dominato da grandi imprese e dal moloch della Pubblica Amministrazione.
Il FreelanceCamp è uno dei pochi barcamp ancora resistenti al tempo delle mode. Questa resistenza/esistenza a cosa la si deve?

Io penso che la chiave sia il tema, molto sentito: il nostro barcamp nasce da una necessità vera e sempre più sentita, e tutti noi, sia chi organizza sia chi partecipa, continuiamo a ricevere molto più di quello che ci mettiamo in termini di lavoro e impegno.
Cosa è cambiato nel fare barcamp da quando avete iniziato a livello organizzativo? La risposta/attenzione delle persone/utenti è cambiata?
La prima edizione è stata praticamente una riunione fra amici, una cinquantina di persone in uno stabilimento balneare. Nel giro di un paio d’anni, l’iniziativa è cresciuta così tanto che abbiamo dovuto – e voluto – far crescere anche l’organizzazione, coinvolgendo altre persone per gestire tutti quegli aspetti che all’inizio si improvvisavano (ricordo i badge della prima edizione, fatti stampando il timbro “freelancecamp” su pezzi di cartone riciclato).
Fare barcamp ha ancora oggi un senso? Se si, perché? Un consiglio per una buona organizzazione di barcamp?
Ogni evento ha una storia a sé, e le ricette che funzionano sono difficili da replicare tal quali. L’unico consiglio che mi sento di dare è ricordarsi sempre che il tempo delle persone ha un grande valore, quindi, anche se chi partecipa non paga nulla o paga un ticket di pochi euro, una giornata di cento o duecento persone è un valore grandissimo in tempo ed energie, che non va mandato sprecato. E gli sponsor devono parlare quando hanno qualcosa di interessante e utile da dire, davvero, non per una marchetta 🙂
Avete mai pensato a realizzare un ‘prodotto contenitore’ che raccolga tutte le esperienze raccolte in questi anni? O ad un ebook che raccolga i migliori consigli per un freelance?

Dopo Roma pensate che sia possibile portare il FreelanceCamp in altre città?

Tre aggettivi per definire il FreelanceCamp

E se da il FeeelanceCamp nascesse una stuttura/organizzazione a sostegno dei freelance che lavorano nel digitale? Utopia?
